Doveva succedere, alla fine è successo. Arriva il momento dei saluti. Doveva succedere e succede perché è quasi inevitabile, succede perché si arriva al punto di saturazione.

Ci ha regalato 5 anni Felipe Anderson, 5 anni di “fiammate”, di bel calcio, 5 anni con uno spicchio di “Brasile vecchia versione” in campo. Non importa quanto tu voglia essere stoica o composta, distrattamente riguardi quel video ed una lacrimuccia inizia a scendere lungo il viso.

È arrivato un bambino di 19 anni, lo salutiamo a 25, è maturato sotto i nostri occhi, dal ragazzino quasi spaesato in una piazza così grande, all’uomo che si arrogava il diritto alla titolarità.

Quella titolarità che ha sentito scivolare via dalle mani, immotivatamente, perché  Pipe al margine non ci sta. E allora si ricomincia altrove, si fanno le valigie e si saluta , senza odio, senza brutte parole, solamente con la tristezza e quel buffetto virtuale sulla spalla; “Vai campione buona vita”.

Si gira la testa e si guarda la linea dell’orizzonte , si guarda l’Inghilterra, “ciao Italia, ciao Roma”.

I tifosi sono stati i suoi migliori amici, i suoi “papà”, le sue “mamme”, fratelli o sorelle poiché Pipe era semplicemente un ragazzo come noi, uno che ti faceva tenerezza. I tifosi però, sono stati anche la sua condanna, quelli che non lo perdonavano mai, che pretendevano, pretendevano, non facevano altro che pretendere senza capire che, un fenomeno, può brillare lo stesso dalle retrovie.

Anderson non ci ha salutato pochi giorni fa, Anderson è andato via il 5 febbraio. La partita contro il Genoa, l’entrata a gara in corso, ruolo a tutta fascia, mentre la promessa di Inzaghi era stata un’altra: non avrebbe più fatto avanti e indietro per tutta la corsia, perché seppur  gli calzava a pennello, il brasiliano voleva “sperimentare” qualcosa di diverso.

“Genio e sregolatezza” ed il genio vive di ispirazione, non di “costrizioni”. Tarpate le ali, si spalanca il baratro della realtà che soffoca, “i piedi chiedono dove ma via”.. in una squadra che ha fatto marcire Nani in panchina, perché sì lo ha fatto marcire in panchina, diventa quasi un meccanismo normale.

Io non starò qui a condividere i miei pensieri, il mio assegnare le colpe, sono sempre stata dalla parte di Felipe, lasciatemi solo dire che la Lazio avrà in campo ancora la “tecnica stabile”, ma ha perso il “funambolismo”, quello che in tanti hanno confuso con la discontinuità.

177 presenze, 34 reti, 368 dribbling riusciti, miglior uomo dribbling in campionato dal 2014 al 2018: ecco quello che avete tacciato per “instabile” ed i numeri non li ho inventati io!

“L’aquila mi è entrata nel cuore, sarò sempre grato alla Lazio. Che bello far sorridere le persone con una foto o con i miei gol”

Da Londra a noi, il saluto del brasiliano.

Sarai sempre Pipe per me e guarderò più Premier League perché il bel calcio non ha colori, né maglie.

In quella sensazione strana di “poetico abbandono”, non mi resta che una cosa, l’ultima anche se fa male: 

Buona fortuna per quel pò di noi che rimmarrà con te, per le giocate e le idee, per i momenti di malinconia, per un pezzo di Brasile nella uggiosa Inghilterra. 

Buona fortuna anche a noi che restiamo senza te.

 

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